di CURZIO MALTESE
Alla vigilia della sentenza per corruzione di magistrati, l'imputato Berlusconi si è nominato giudice supremo della democrazia in Italia, arbitro dei destini d'Europa e patrono d'America, guida rivoluzionaria e signore delle regole televisive ed elettorali. Non è soltanto il classico delirio di onnipotenza che coglie il premier alla vista di Bruno Vespa, del quale presentava un libro. È l'annuncio della lunga, costosa e spregiudicata campagna elettorale che ci attende nel prossimo anno. O forse nei prossimi mesi. Se è vero, come sostengono in molti, che il premier paventa una frana dei conti pubblici per il 2005.
Che si voti in primavera o nel 2006, Berlusconi è pronto. Per prima cosa, come sempre, ha segnato il campo dei nemici.
Sono Prodi, la sinistra, l'Europa, il trattato di Maastricht più i giudici e in genere tutto quanto gli ricordi l'esistenza di leggi e regole. Nell'elenco è comparsa da tempo la par condicio, legge "liberticida" chè gli impedisce d'invadere le televisioni di spot e di farsi pagare dagli avversari come proprietario di Mediaset.
La novità è che non va bene neppure più la legge elettorale. Sarà modificata a colpi di maggioranza, annuncia Berlusconi all'ammirato Vespa, senza discutere con l'opposizione e neppure con gli alleati. Nessuna correzione proporzionale e tantomeno in senso maggioritario. Soltanto alcune modifiche complesse da spiegare il cui risultato concreto è favorire al massimo il leader di Forza Italia, e tanto basta. L'idea che cambiare il gioco elettorale a senso unico e alla vigilia del voto sia un po' una mascalzonata naturalmente non viene presa in considerazione. Nell'urgenza decisionista Berlusconi ha anche assicurato che otterrà la revisione di Maastricht, (soprattutto nell'odioso limite al rapporto debito/Pil ma non solo) e la rivalutazione del dollaro, che chiederà di persona all'amico George W. Bush.
Va da sè che i tagli fiscali di quest'anno, dallo stesso premier definiti "simbolici", saranno almeno raddoppiati l'anno venturo e così via. Fino al completamento della "rivoluzione liberale" promessa nel celebre contratto con gli italiani e finora purtroppo rinviata di anno in anno per una serie incredibile e jellatissima di circostanze sfavorevoli. In chiusura il premier, con largo anticipo sulle lungaggini della magistratura milanese, ha emesso un verdetto di piena assoluzione nei confronti di sè stesso per il processo Mondadori.
Fin qui il Silvio-pensiero, che può sembrare la solita tracimante berlusconata con la complicità di Vespa, magari più ridondante nella versione pacco natalizio. E in buona parte lo è. Ma oltre a questo, l'uscita del premier disegna una nuova strategia. La fase di governo è finita, con l'ultimo rimpasto e una Finanziaria blindata dai voti di fiducia. È andata male, inutile negarlo oltre. Il premier ha provato a vendere agli italiani l'azione di governo come "miracolo compiuto": non ha funzionato. Torna allora a indossare i panni che meglio gli si addicono, l'uomo dei sogni e della promessa, l'eroe di un'ottimismo della volontà non temperato da alcun pessimismo della ragione.
Con la veste del cavaliere senza macchia, lucidata ogni giorno dai servitori dei telegiornali, Berlusconi porterà la seconda sfida a Romano Prodi che oggi lo supera nei sondaggi. Al punto da convincerlo, per ora, ad accettare un eventuale duello televisivo. Accuserà il rivale di aver governato male in questi anni dall'alto della presidenza europea, gli addosserà la responsabilità d'aver fatto fallire la "rivoluzione liberale", le riforme, i tagli fiscali, le grandi opere pubbliche. Si comporterà insomma come se a governare (e a deludere) fosse stato l'altro.
Si tratta di un rovesciamento di ruoli spericolato e magari grottesco, ma considerato il controllo totale dell'informazione può riuscire. La crocefissione del Professore su stampa e tv per la battuta sui mercenari di Forza Italia, pure largamente fondata, ha funzionato da prova generale. Con l'abolizione della par condicio e la possibilità d'invadere l'etere con spot miliardari si possono fare miracoli. O almeno spostare quel due o tre per cento di voti che in tutte le democrazie ormai fanno la differenza fra il trionfo e una catastrofe.
(10 dicembre 2004)
http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/politica/riformeist2/arbirivu/arbirivu.html
venerdì 10 dicembre 2004
L'arbitro rivoluzionario
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