di Eugenio Scalfari
Il dibattito sul laicismo è stato concluso due settimane fa su queste pagine e già si preannunciano altri qualificati interventi che ospiteremo volentieri e che saranno infine tutti raccolti in un volume che diffonderemo con Repubblica. Ma ora i laici - religiosi e non - sono chiamati a confrontarsi con un appuntamento quanto mai impegnativo: il referendum sulla legge numero 40 che tratta della procreazione medicalmente assistita. Una legge approvata poco più di un anno fa dopo un'incubazione assai lunga da una maggioranza trasversale nella quale al centrodestra, massicciamente favorevole salvo poche eccezioni, si affiancarono quasi tutti i cattolici militanti nello schieramento di centrosinistra.
Quella legge tuttavia, anche dopo la sua entrata in vigore, suscitò una folata di critiche argomentate e aspre, non solo da parte dell'opinione pubblica laica ma in particolare da parte della classe medica, degli scienziati, delle donne. Anche in questo caso dunque un arco trasversale di segno opposto a quello formatosi in Parlamento per l'approvazione della legge.
In queste condizioni fu relativamente facile la raccolta delle firme per l'indizione del referendum abrogativo, anzi di cinque referendum unificati poi dalla Corte di Cassazione e infine trasmessi alla Corte Costituzionale per l'approvazione di merito.
Tre giorni fa la sentenza, che ha respinto il referendum mirante all'abrogazione totale della legge ed ha invece approvato gli altri quattro quesiti con i quali i promotori chiedono di cancellare alcuni articoli e cioè quelli contenenti il diritto del concepito equiparato in tutto ai diritti di persone già nate ed esistenti, i limiti posti alla ricerca scientifica sugli embrioni e l'uso delle cellule staminali a scopo terapeutico, i limiti alla procreazione degli embrioni e al loro impianto, il divieto dell'accertamento medico sulla sanità dell'embrione, il divieto alla procreazione eterologa cioè ottenuta utilizzando ovuli o seme forniti da persone estranee alla coppia ma ovviamente con il consenso della coppia stessa. Si tratta in sostanza degli architravi delle legge 40 ed è proprio su di essi che si erano orientate le critiche dell'opinione laica.
Il capo dello Stato, su parere del presidente del Consiglio, dovrà ora fissare la data del referendum che deve aver luogo in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno, a meno che nel frattempo il Parlamento non ridiscuta la legge 40 emendandola in modo da soddisfare i quesiti abrogativi proposti nel referendum.
Il dibattito sul merito è dunque destinato a riaccendersi, anzi si è già riacceso e verte sulle questioni inerenti e pertinenti ai quesiti di abrogazione.
Preliminare però all'analisi di tali questioni è l'esame della sentenza della Corte, possibile fin d'ora a lume di logica anche in assenza delle motivazioni che non sono ancora note. Ma il dispositivo ha una sua eloquenza e, se si può dir così, parla da solo.
Prima di inoltrarmi nell'esame delle suddette questioni sento tuttavia il dovere, come cittadino, di ringraziare le forze politiche che si sono impegnate nella raccolta delle firme per l'indizione del referendum e segnatamente il Partito radicale. Dai radicali mi dividono molte cose, a cominciare dal loro abuso di richieste referendarie che ha avuto il negativo effetto di logorare l'istituto e quasi di renderlo inviso agli elettori. Salvo nei casi in cui una consistente parte di essi rivendichi quei diritti che una legge può in ipotesi aver loro sottratto e voglia legittimamente riappropriarsene. I promotori del referendum adempiano in tal caso utilmente al ruolo di dare sbocco completo a quella volontà popolare, quale che ne sia poi l'esito istituzionale.
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Comincio con il preliminare, la sentenza della Corte.
Ha giudicato improponibile il referendum sull'abrogazione totale della legge 40, ma ha invece ritenuto validi e ammissibili i quattro quesiti miranti ad abrogare alcuni articoli della legge stessa. Perché? Quale può essere la "ratio" di questa complessa sentenza che al tempo stesso nega e concede? Secondo me la "ratio" è abbastanza chiara. Il Parlamento ha approvato una legge che detta criteri su una questione, la procreazione assistita, fino a quel momento priva d'una normativa e quindi soggetta ad abusi gravi, lesivi della salute e fonte anche di discriminazioni vistose tra abbienti e non abbienti nel ricorso alle risorse che la medicina genetica mette oggi a disposizione.
L'abrogazione totale della legge 40 avrebbe riportato a zero il faticoso iter parlamentare rinviando a chissà quando il recupero del suo impianto.
Ma continuiamo l'esame della sentenza. L'ammissibilità dei quesiti referendari accolti dalla Corte consente, almeno sulla carta, che il Parlamento intervenga subito, entro la scadenza referendaria, modificando la legge in modo tale da soddisfare i quesiti referendari.
La Corte cioè ha tenuto conto, come doveva, sia dell'autonomia delle richieste di chi ha promosso il referendum abrogativo sia della sovranità legislativa del Parlamento e ha sentenziato di conseguenza.
In questo quadro la domanda se ora sia opportuno oppure no che il Parlamento modifichi la legge evitando il referendum mi sembra di secondario interesse. Se il referendum si farà e se dovessero vincere i "no" o se il quorum del 50 più 1 per cento non fosse raggiunto, la legge attuale risulterà confermata senza emendamenti. Se invece vincesse il "sì" o se la legge fosse emendata prima del referendum e allo scopo di evitarlo, avrebbero vinto in entrambi i casi i promotori del referendum stesso.
Queste sono le diverse possibilità teoriche.
Personalmente penso che il tempo disponibile per un intervento parlamentare immediato e soprattutto la voglia di farlo non vi siano. Andare al referendum mi sembra dunque la scelta più chiara e più rispettosa della sovranità popolare.
Il tema sovrastante su tutti gli altri quando si esamini il merito della questione sta comunque nella natura dell'embrione e se esso sia fin dalle prime ore di vita una "persona" titolare di diritti oppure un grumo di cellule evolutive, una persona "potenziale" ma una non-persona "attuale" e che quindi non possa usufruire di diritti soggettivi.
Le opinioni su questo punto capitale sono molto divise. Io non credo che l'embrione sia una persona e penso che la sua capacità evolutiva non sia un dato sufficiente ad attribuirgli diritti autonomi e conflittuali con altri diritti. Penso che l'embrione, prima che la sua capacità evolutiva da potenziale divenga attuale dotandolo di un minimo di organi biologici che lo configurino come soggetto, sia ancora interamente confuso con il corpo della madre e non distinguibile giuridicamente da lei e dalle sue determinazioni. Il legislatore può entro certi limiti condizionare tali determinazioni in funzione di un pubblico interesse, badando però a non annullare quel diritto soggettivo in nome d'un altro diritto conflittuale ma secondo me inesistente.
Mi rendo conto che questa opinione è, appunto, opinabile.
Legittima ma opinabile. Ci sono però altre considerazioni che vanno prese in esame. Le seguenti.
Chi decide di ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita non avendo altre possibilità di procreare, desidera evidentemente dar vita ad un nuovo essere. Agisce dunque in favore di una nuova vita. Non si comprendono perciò le limitazioni che vengono poste a questa pulsione creativa e gli ostacoli che giocano obiettivamente contro la nascita di nuove vite e nuove persone. Nello scontro fin troppo aspro tra le varie opinioni, i cosiddetti "movimenti per la vita" di ispirazione cattolica hanno tacciato i loro avversari come "partito della morte". Non si rendono conto che una definizione del genere, oltre ad essere settaria, si presta ad essere rovesciata.
Il partito della vita è quello che favorisce la realizzazione d'un desiderio che può condurre alla nascita di nuove creature o quello che pone ostacoli a quella realizzazione? E ancora: l'uso terapeutico di cellule staminali per combattere malattie mortali e quindi per salvare vite esistenti è un gesto in favore della vita oppure un gesto mortifero quando riceva quelle cellule preziose da embrioni in soprannumero?
Si tratta di questioni estremamente complesse e non risolvibili se si attribuisce al concepito, fin dal primo istante del concepimento, una personalità attuale e gli si attribuiscono diritti di intensità pari a quelli di cui sono portatrici le persone attualmente esistenti. Non solo.
L'attribuzione di tali diritti a una non-persona fa sì che il suo unico possibile delegato sia lo Stato. Ecco l'ultimo paradosso di questo modo di pensare: lo Stato, attraverso le norme da esso formulate, si attribuisce il diritto di decidere in nome del concepito contro il diritto soggettivo della madre e della coppia genitoriale. Lo Stato cioè distrugge diritti soggettivi arrogandosi la rappresentanza di un diritto soggettivo attribuito per legge ad un soggetto potenziale ma inesistente allo stato dei fatti.
A me sembra chiaro che lo Stato abbia un rilevante interesse a regolamentare i diritti soggettivi genitoriali in materia di procreazione medicalmente assistita; ma un interesse non è un diritto soggettivo e lo Stato non può esercitarlo per delega d'un gruppo di cellule vive ed evolutive quanto si voglia. Lo Stato può agire sulla base di un interesse proprio e della collettività che rappresenta, ma quell'interesse non giustifica in nessun caso la confisca e la soppressione di un diritto soggettivo senza che ciò configuri un gravissimo abuso di potere.
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Io non credo che le osservazioni sopra esposte siano superabili né credo che in questa discussione siano coinvolti e lesi principi religiosi. La religione difende il principio della vita, ma anche i non-religiosi lo difendono se non altro seguendo l'impulso alla sopravvivenza della specie. I religiosi difendono la vita dell'embrione, ma anche i non religiosi la difendono; si è mai visto o udito qualcuno che auspichi una sistematica strage di embrioni? Il problema nasce quando, in nome di persone potenziali si inventano diritti confliggenti con quelli di persone esistenti e si fanno soggiacere i secondi rispetto ai primi.
Questo, appunto, è il paradosso contenuto nella legge 40 e a questo paradosso vogliono porre rimedio i quesiti referendari che la sentenza della Corte ha giudicato ammissibili. In nome della vita. In nome dei diritti intangibili della persona. In nome del dovere di curare persone ammalate di morbi mortali. In nome della libera ricerca scientifica.
Lo Stato può regolamentare l'esercizio dei diritti inalienabili degli individui, ma non può sopprimerli né confiscarli e non può attribuirsene la rappresentanza senza trasformarsi in uno Stato totalitario. Quanto alla religione, essa può raccomandare ai credenti comportamenti ritenuti coerenti con i principi della fede ma non può neppure tentare di imporli a una libera comunità senza con ciò violare quella "laicità" che dovrebbe rappresentare il terreno comune di tutti coloro che hanno a cuore la civile e ordinata convivenza.
(16 gennaio 2005)
http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/politica/fecondazione/battembr/battembr.html
domenica 16 gennaio 2005
La lunga battaglia intorno all'embrione
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