martedì 18 gennaio 2005

Quando le urne decidono

di MIRIAM MAFAI

Da circa dieci anni si discute, nel centrosinistra, dell'opportunità o meno di adottare, per la scelta dei candidati, il metodo delle primarie, già in vigore, sia pure in forme diverse, in America come in Inghilterra e in Germania. Se ne è discusso ripetutamente in sede politica e accademica, in convegni con leader di partito e politologi, mettendo in luce di volta in volta i possibili vantaggi del sistema e i suoi altrettanto possibili inconvenienti.
Ricordo un'organica proposta di legge che venne avanzata nel corso della XIII Legislatura dai parlamentari diessini Claudia Mancina e Antonio Soda.

Proposta presentata, ma presto dimenticata, per la più o meno manifesta ostilità del gruppo dirigente. La selezione dei candidati, insomma, è sempre rimasta saldamente nelle mani delle segreterie dei partiti, in un processo di crescente centralizzazione con il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario.

Questo finché qualche settimana fa il centrosinistra, inciampato nel contrasto insuperabile tra due diverse candidature per la elezione del presidente della Regione Puglia, non ha deciso di ricorrere, finalmente, alla via d'uscita delle primarie. O Nichi Vendola o Francesco Boccia. Era scontato che vincesse Francesco Boccia, il giovane e brillante economista della Margherita sostenuto da tutto il centrosinistra. E invece, contro ogni previsione, da una competizione alla quale hanno partecipato, oltre 80.000 elettori, è uscito vincente Nichi Vendola, il candidato di Rifondazione.

Su un centrosinistra da molti mesi impegnato in astratte vertenze nominalistiche (che differenza ci sarà tra "riformisti" e "riformatori"?) e in concretissime per quanto opache vertenze di potere, queste primarie pugliesi, il loro svolgimento e il loro risultato, piombano come un imprevisto elettroshock. Imprevisto e tuttavia benefico, se i gruppi dirigenti della coalizione sapranno coglierne il significato.

Qui non siamo di fronte al grido di un intellettuale indignato, come quello che lanciò ormai due anni fa Nanni Moretti alla manifestazione di Piazza Navona, né al malessere della sinistra inquieta che si è raccolta sabato scorso a Roma attorno alla iniziativa del Manifesto. Nel voto espresso domenica dagli elettori pugliesi, che dopo aver firmato una dichiarazione di adesione al progetto politico della Gad hanno atteso pazientemente per ore il loro turno per esprimere la propria scelta, in quel voto è possibile leggere in primo luogo una gran voglia di partecipazione, una richiesta affannata di democrazia e insieme una protesta contro gruppi dirigenti che si arrogano il diritto di assumere le proprie decisioni facendole calare dall'alto quasi fossero cosa privata.

Da tempo, del resto, chi avesse avuto orecchio per ascoltare avrebbe dovuto rendersi conto di questo diffuso disagio nei confronti di una politica sempre meno leggibile, sempre meno limpida e sempre più lontana dalla sensibilità e dalle richieste di quella che una volta si chiamava "la base".

Una base che non può non sentirsi a disagio di fronte alle continue e spesso incomprensibili polemiche tra i vari leader della coalizione. Polemiche alle quali seguono puntualmente smentite e rettifiche, altrettanto incomprensibili. Non occorre un orecchio particolarmente fine per percepire l'irritazione, la delusione, l'insofferenza che va crescendo tra gli elettori del centrosinistra, una delusione e un'insofferenza che possono anche tradursi in un rifiuto secco della politica e alla fine in astensionismo.
Le primarie di domenica in Puglia, l'alta partecipazione al voto, dicono tuttavia che quel processo, contrassegnato dalla sequenza "delusione-insofferenza-rifiuto della politica" non è scontato. La voglia di partecipare e di decidere è ancora molto forte tra gli elettori. Ma va pure spiegata la sconfitta di Francesco Boccia, che, considerato il più forte nella competizione contro il governatore Fitto, era stato indicato e sostenuto da tutti i partiti del centrosinistra. La sua sconfitta deve essere correttamente letta non come un giudizio sulla sua persona e le sue capacità, ma piuttosto come la manifestazione di un'insofferenza nei confronti di quei vertici romani, di quelle oligarchie che lo avevano indicato e pretendevano di imporlo come il candidato migliore. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, il voto pugliese accentua il problema degli equilibri politici della coalizione. La vittoria del candidato di Rifondazione rischia di spostare l'asse dell'alleanza verso la sinistra radicale, mettendo in sofferenza il fronte riformista. E la visibilità che inevitabilmente Bertinotti avrà nel duello con Prodi alle primarie nazionali aumenterà ancora di più questo pericolo.
Le primarie sono uno strumento delicato.

Da maneggiare con cura o per ottenere una ratifica, più o meno larga, delle scelte assunte dal gruppo dirigente, o per promuovere un processo di selezione democratica delle candidature. In ambedue i casi è lo strumento principale di cui il centrosinistra dispone per rinnovare e rafforzare il rapporto con la sua base e i suoi elettori. Dopo tanti anni di dibattiti, il centrosinistra potrebbe assumerle, coraggiosamente, come l'elemento distintivo, la vera novità di cui si fa portatrice la coalizione. Ben vengano dunque le primarie per la scelta del premier, che del resto Romano Prodi ha da tempo proposto nonostante alcune riserve degli alleati.

Ma il vero segnale di cambiamento potrà venire dalla convocazione delle primarie per la scelta dei candidati del maggioritario per le elezioni politiche del 2006, che consentiranno nei singoli collegi una verifica dell'operato dei parlamentari in carica e la individuazione dei migliori candidati per la prossima legislatura.
(18 gennaio 2005)

http://www.repubblica.it/2004/l/sezioni/politica/proditornadue/urnede/urnede.html

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