Mi rivolgo a tutti quelli che liquidano il "Pride" come una pagliacciata, un'ostentazione o, secondo la definizione del professor Zecchi «una carnevalata fuori stagione».
DA "QUEER", INSERTO DI "LIBERAZIONE" DEL 26 GIUGNO 2005
Gay, lesbiche, transgender e queer: c'è ancora un muro di pietre
di Vladimir Luxuria
J'accuse. Voglio sfogarmi un poco, e togliermi un sassolino dai miei tacchi. Mi rivolgo a tutti quelli che liquidano il "Pride" come una pagliacciata, un'ostentazione o, secondo la definizione del professor Zecchi «una carnevalata fuori stagione». Io vi dico: ciarlatani, borghesi piccoli piccoli!
Quello che mi fa più venire un diavolo per ogni doppia punta della mia parrucca sintetica è che in questa comitiva di giudicanti ci siano anche gli stessi gay, quelli in giacca e cravatta che non vogliono confondersi con travestiti, drag-queen, transessuali e trans/gender. Pensate che accozzaglia di gente triste: post-fascisti, fascisti, leghisti, piduisti, integralisti e omosessuali azzimati tutti legati dalla voglia di togliere rispetto (o almeno il colore) al corteo dell'Orgoglio lesbico, gay, bisex, transgender, queer. A rendere l'armata Brancaleone ancora più eterogenea ci hanno pensato anche alcuni intellettuali, pensatori e politici "centro-sinistrorsi", ovvero chi è caratterizzato solo da una leggera propensione a sinistra, i quali, dopo il fallimento del "quorum" camminano in ginocchio per non mortificare l'onorevole Ruini.
«La scintilla della rivoluzione l'abbiamo iniziata noi checche, travestiti e puttane. Dove stavate voi, gay in doppiopetto, eravate nascosti? Venite a raccogliere gli allori di una rivolta della quale non avete nessun merito?», queste parole le ha dette Sylvia Rivera quando l'ho incontrata al World pride a Roma nel 2000 a proposito della polemica sull'ostentazione. Era il 28 giugno del 1969 a New York, Sylvia era dentro lo "Stonewall", storico locale frequentato da gay, lesbiche e travestiti.. l'atmosfera era allegra, nonostante tutte le volte in cui la "democratica" polizia americana aveva fatto irruzione, schedata, sfottuta e terrorizzata la clientela. Ma quella volta qualcuno non subì passivamente tali soprusi: insieme a una travestita afroamericana (che aveva su di sé il doppio peso della discriminazione), Sylvia lanciò prima una scarpa e poi una bottiglia di vodka (vuota) addosso a un poliziotto. Fu la prima azione comunitaria: sbattere fuori gli sbirri dal locale. Alla rivolta si unirono subito dopo le lesbiche e ancora dopo i gay. Cominciò una piccola resistenza con feriti e arrestati che vedrà vincente la comunità omosessuale, da allora il movimento glbtq (gay, lesbo, bi and/or trans/gender, queer) fa partire il primo Pride, che da allora in sempre più numerose città nel mondo si fa coincidere attorno alla data del 28 giugno.
Silvia Baraldini viveva a New York all'epoca: «Non è un caso che i locali gay fossero nel quartiere del Greenwich Village, quella parte di New York in cui scoprii lo Stonewall, il movimento hippy, pacifista, dove si parlava della discriminazione degli afro-americani, dove imparai ad amare la musica di Frank Zappa, Joan Baez, Rolling Stones... la polizia non era molto delicata nei confronti di chi andava contro il sistema, picchiava, picchiava sul serio... io stessa una volta durante una street parade contro la guerra in Vietnam dovetti togliermi le scarpe e fuggire... era un periodo di grande fermento, in quest'atmosfera nasce la protesta anche dello Stonewall».
Purtroppo c'era anche un altro "Muro di pietre", ed era quello del pregiudizio che alcune categorie nutrivano (e nutrono) nei confronti di chi era "borderline", ai margini... Una travestita era uno schiaffo in faccia ai benpensanti. Se poi indossava un cartello con su scritto: "Fate i vostri conticini con la mia esistenza" il fastidio era troppo persino per gli stessi gay americani. Sylvia aveva cominciato a battere il marciapiede sin da giovanissima, iniziò ad aiutare le altre travestite che all'epoca morivano per una coltellata o un'overdose. Aprì la "Star House" (Street transvestite action revolutionnaires) da sola, senza l'appoggio politico del perbenismo gay.
Il 19 febbraio 2002 Sylvia Rivera si è spenta al Vincent's Manhattan hospital di New York, a 50 anni, cancro al fegato. Per fortuna il Movimento italiano transessuali di Bologna, nelle persone di Porpora Marcasciano e Valerie, hanno fatto in tempo ad omaggiarla nel convegno "Transiti" dove Sylvia intervenne: «Vogliamo ricordare che il 28 giugno è una giornata da festeggiare, grazie a una ribellione e a un movimento nato da transessuali e mi sembra assurdo che si tenda a dimenticarlo. Sono 31 anni che lotto per avere una posizione, per affermare la dignità transessuale contro la volontà delle persone cosiddette normali, comunità gay compresa».
Sì, noi travestiti siamo il colore, l'iperbole, l'esagerazione, l'ostentazione, la disubbidienza anagrafica, siamo fate dai mille volti e una sola coscienza. Non vogliamo un Pride uni-color, ma multi-etni-color, allegro, "queer", non un corteo funebre. La politica non è una cosa seria, visto che non ci riconosce gli stessi diritti degli altri, la nostra è la maschera dell'allegria, la vostra la maschera dell'ipocrisia, del bieco trasformismo. In altre parole noi lottiamo contro quel concetto di "omologazione" paventata da Pier Paolo Pasolini già nel 1961: «L'anormale complessato non volendo accettare l'anormalità che lo relega in una maggioranza di "diversi" rispetto alla società dove vive, e anzi soffrendone orribilmente, tenta di inserirsi di prepotenza nella maggioranza, accogliendone e facendone suoi tutti i canoni, tutte le regole, tutte le istituzioni. E, come sempre succede, finisce, come si dice, con l'essere più realista del re. Non c'è nessuno che sia più fanatico, più duro, più intransigente di un anormale che difende la norma». Le checche e travestite non hanno mai chiesto che ai cortei non partecipino i gay dal "look" più accomodante (magari griffato): è successo solo il contrario, i "più realisti del re" vorrebbero detronizzarci, ma è difficile: ognuna di noi è regina di quel molto o poco che possiede. L'inno del "Pride", tra l'altro, è stato deciso dalle melo-checche, ovvero quelle piagnone americane che impazzivano di lacrime davanti ai film dell'attrice e cantante Judy Garland, definita la "Elvis degli omosessuali" dalla rivista The Advocate. Il brano "Over the rainbow" (dal quale anche la scelta dell'arcobaleno come bandiera del movimento) è stato voluto come inno per quel sogno di terra promessa di libertà alluso nelle sue parole: «In qualche luogo, su in alto, al di là dell'arcobaleno, c'è una terra che una volta sognai durante una ninna nanna (...) dove i sogni che tu osi sognare diventano veri».
Gli auguri più sinceri di buon Pride a tutti forse si possono fare citando il ricordo su Sylvia scritto da Porpora e Valerie: «Cara Sylvia, gli eroi nascono per caso per arricchire il mondo, poeti, sognatori, vagabondi, tutti coloro che smettono di essere spettatori e diventano protagonisti. Ci piace ricordarti con il tuo abito di paillettes e piume di struzzo al World pride quando ti abbiamo accompagnata sul palco per spolverare la memoria».
Anche io mi auguro che con questo articolo se almeno non sarò riuscita a sconfiggere qualche pregiudizio abbia almeno abbattuto un paio di milioni di acari... non sopporto la polvere sulla memoria.
Massimo Consoli, "Stonewall, quando la rivoluzione è gay", ed. Roberto Napoleone, Roma, 1990
Nigel Finch, "Stonewall", film inglese del 1995
Atti del convegno "Transiti: percorsi e significati dell'identità di genere", Mit Bologna Giugno-luglio 2000
Gerald Clarck, "Get happy: the life of Judy Garland", edizioni Delta, USA, 2001
Pier Paolo Pasolini, "Le belle bandiere, dialoghi 1960-1965", Editori riuniti, Roma, 1996
http://www.gaynews.it/view.php?ID=32932
lunedì 27 giugno 2005
"La scintilla della rivoluzione l'abbiamo iniziata noi checche, travestiti e puttane"
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