Delia Vaccarello sulla prima pagina dell'Unità fa un bel ritratto della transessuale Patrizia che ha salvato la vita a Lapo Elkann
di Delia Vaccarello
«È il 118? Presto, correte, un uomo sta morendo». Avete passato la notte insieme. Lui ha i capelli biondi, le labbra sottili, gli occhi azzurri. Tu hai le labbra carnose, il seno, i genitali maschili: sei una transessuale. Sono le nove del mattino. Ti avvicini e ti accorgi che lui rantola. Chiami subito i soccorsi. Se perdi un secondo, può essere troppo tardi. Sei nata in un corpo di uomo, ma ti senti donna. Hai scelto "Patrizia" come nome per la tua identità ritrovata. Con il tuo corpo, con il tuo nome, ti senti te stessa. Non hai un pensiero per la notte e uno per il giorno. Non sei sollecita al buio e vile alla luce del sole. Non sei doppia. Sei unica, come è unica la vita di quell'uomo gentile che rischia di andarsene via.
«Correte, sta morendo». Eppure potresti restare stritolata in un gioco più grande di te. L'uomo da soccorrere si chiama Lapo Elkann. È famoso. Tra un attimo tutto il mondo ne parlerà. Ci saranno domande, le forze dell'ordine indagheranno. Tu lo sai. Hai imparato, da anni, a non curarti dello sguardo doppio di molti, anche se fa male. All'inizio ti ferisce di più, poi sempre meno. Ma fa sempre male l'aggressività degli occhi appostati dietro le lenti dell' ipocrisia. Ti guardano, fissano le tue camicette scollate, le calze a rete, la tua eccezionale altezza, trasalgono al timbro della tua voce non del tutto ammorbidita dagli ormoni e ti disprezzano. Tolgono valore alla tua vita solo perché la tua immagine non è rispettabile per i benpensanti. La vita, invece, per te ha un valore grandissimo, qualunque vita, e non importa se viene travestita dagli altri con gli abiti logori del pregiudizio o con i panni "regali" della fama.
Lapo Elkann sta morendo, a salvare una vita non serve la fama, non servono i soldi, serve, ora, subito, una telefonata, succeda quel che succeda. «Presto, correte, un uomo sta morendo». Se non conoscessi la Dignità, tu, Patrizia non saresti sopravvissuta. La dignità ha la forza di un canto che non si estingue, anche se gli altri urlano o ti accoltellano alla schiena. Ti ha dato l'energia di chi non aspetta, per sentirsi vivo, che il can can mediatico dia l'approvazione, che ti metta oggi sull'altare e ti getti domani nella polvere. Il carnevale televisivo, che troppo spesso "maschera" la vera informazione quella sì, quanto è travestita -, parlerà di Lapo Elkann. Ne parlerà mentre Lapo sarà nella polvere in cui ci getta la vita quando non abbiamo le forze. Ci sarà gente che camufferà morbosità e scandalizzata sorpresa alla notizia che aveva trascorso la notte con te, con te che l'hai soccorso. Ci sarà chi, alla notizia della sfortuna altrui, ammiccherà: «Ehi, hai visto con chi era?». Ti spingeranno fuori dall'ombra con cui finora hai cercato di proteggerti. Non importa. Per te importa tirare quell'uomo gentile fuori dalla polvere che può ricoprire la vita, in un attimo, e trasformarla in morte.
«Correte, sta morendo». Conosco tante persone transessuali. Ad alcune mi lega un profondo sentimento di amicizia. Ne abbiamo parlato spesso su questo giornale. Cercando ogni volta di dar voce alla voce soffocata dalla coperta di pregiudizi con cui il mondo le occulta. Tutti i giorni incontriamo le persone transessuali: lavorano in case di riposo per anziani, fanno l'animazione tra i giovani, sono esperte di informatica, alcune leggono l'oroscopo al mattino, altre esercitano la prostituzione. Fanno i lavori di tutti. Le giovani si cercano nell'età tra le più difficili, quella dell'adolescenza. Lì dove il confine tra la morte e la nuova vita si fa sottile. Lì dove la seconda nascita, quella alla società, alla sfera "pubblica", avviene solo grazie all'infinito coraggio di dire: «Io sono così e ho il diritto alla dignità». Ma se non si trova il coraggio, si muore alla vita vera.
Le persone trans interrogano se stesse per lungo tempo in una solitudine spaventosa, affinando l'orecchio alle tante solitudini. Non hanno modelli che aiutano a cercare la propria identità, trovano spesso solo un'abbondante dose di derisione.
Chi riesce a trovarsi, a tenere fermo il contatto con ciò che sente, difende fino allo stremo una voce dentro di sé. Misteriosa, forse. La difende quando è fragile, quando può bastare un pizzico di difficoltà in più a zittirla per sempre. Difende la voce della vita. Quella che gli altri disprezzano, quando disprezzano. Ma chi disprezza la vita altrui, disprezza la propria. Quella che gli altri non soccorrono, se non la riconoscono in pericolo o se, percepito il pericolo, tirano diritto per la propria strada. Tu, Patrizia, non hai potuto farlo. Hai detto a te stessa, tanto tempo fa: «Devo soccorrermi, altrimenti muoio». Hai aperto la porta di casa, di notte e di giorno, con le camicette scollate, il seno, i tacchi alti, la voce dal timbro forte. E hai detto: «Sono viva». Così l'altra mattina hai detto: «Correte, Lapo Elkann sta morendo». Hai dato voce alla giustizia. All'unica giustizia che conta. Quella che soccorre la vita.
sabato 15 ottobre 2005
Il coraggio di Patrizia
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1 commento:
sarò breve. se dopo Lapo andrà in una clinica a curarsi enon andrà in carcere, come del resto Calissano che con la sua cocaina ha fatto morire una ragazza... allora dico, dovrebbero uscire dal carcere tutti quei piccoli spacciatori che lo fanno per fame e non per fare orge ed altro, da chi ha tutto e non a giustificazione alcuna....
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