di Nicola Tranfaglia
Il complesso concentrazionario di Auschwitz costituisce la più gigantesca opera criminale del Novecento, divenendo il simbolo eloquente dello sterminio nazista e della ferocia del regime di Hitler.
In quel campo, alla fine della seconda guerra mondiale, quando i prigionieri superstiti vennero liberati il 27 gennaio 1945 dalla sessantesima armata dell'esercito sovietico,erano stati assassinati con lo Zyclon B e mezzi più primitivi come fucilazioni e rappresaglie, un milione e seicentomila prigionieri,tra i quali duecentoventimila adolescenti e bambini in maggioranza ebrei e undicimila ragazzi e bambini del campo di famiglie zingare.
Quello che aveva caratterizzato il massacro era la realizzazione in pochi anni di una pianificazione massiccia dello sterminio dei «diversi»: non solo gli ebrei da eliminare fisicamente dalla Terra ma gli oppositori politici e sociali, gli zingari e chiunque non facesse parte del popolo eletto degli ariani biondi e senza Dio.
Questi caratteri fanno di Auschwitz e dell'universo concentrazionario il centro di una questione storica tuttora aperta: «Perché Dio non c'era?», come si è chiesto più volte con angoscia Benedetto XVI nel suo discorso di domenica scorsa in quel campo, ripercorrendo il cammino fatto nel 1979 da Giovanni Paolo II ma - aggiungiamo noi - gli uomini e la Chiesa cattolica c´erano e non si opposero con l'energia necessaria all'orrore nazista. Sta qui il problema storico che l'attuale pontefice non ha voluto e saputo affrontare nella visita solenne compiuta da Papa e da tedesco nel campo nazista.
Giovanni Paolo II era andato oltre e nel 1998 nel documento vaticano intitolato «Noi ricordiamo:una riflessione sulla Shoa» aveva chiesto perdono «per il ruolo esercitato dalla Chiesa e dal gregge cristiano nella persecuzione del popolo ebraico».
Ma questi accenti in cui si era affrontato, sia pure in un documento piuttosto che direttamente di fronte alle masse dei fedeli, c'era stato il riconoscimento dell'antisemitismo cristiano e cattolico che esercitò purtroppo un ruolo importante nella vittoria e nel consolidamento della Germania di Hitler,non sono ritornati nel discorso, pur commosso, che il pontefice ha fatto di fronte al Muro della morte e, al contrario, papa Ratzinger ha usato un´espressione, per spiegare la vittoria del nazionalsocialismo in Germania e in Europa, che non può essere accettata dagli storici.
Ha detto che lo sterminio fu il frutto di «un gruppo di criminali che raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell'onore e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell'intimidazione, cosicchè il nostro popolo potè essere usato e abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio», ed ha aggiunto poi che quei criminali volevano «uccidere quel Dio che chiamò Abramo che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno».
Parole nobili che raccolgono per il cristianesimo l'eredità del popolo di Israele e del popolo ebraico ma che, nello stesso tempo,pongono fuori di ogni responsabilità quel popolo tedesco di cui è figlio Ratzinger e quella Chiesa cattolica di cui è pontefice.
E questo secondo aspetto in un momento storico come l'attuale è un tema che non si può accantonare.
La Chiesa cattolica ha avuto con Pio XII precise responsabilità di fronte alla Shoa e il mondo cattolico per venti secoli ha alimentato e fatto crescere, non da solo certo, un tenace antisemitismo contro il popolo ebraico accusato di deicidio sicchè, pur dopo la scomparsa nel 1958 di papa Pacelli, è stato assai lento il cammino del Vaticano nel riconoscimento delle sue responsabilità nell'immane tragedia.
Giovanni XXIII e Paolo VI hanno incominciato timidamente un cammino che ha trovato soltanto con l'avvento del papa polacco un'aperta ammissione di colpa e un'esplicita richiesta di perdono agli ebrei e a tutti gli uomini.
Ma il discorso di Benedetto XVI sembra riportare indietro le cose e nascondersi dietro il gruppo di criminali che gestirono i campi di sterminio. Ma può reggere una spiegazione storica così mutila e semplicistica? Si può ridurre la complessa vicenda dei fascismi europei, in particolare del nazionalsocialismo, a una storia criminale?
Chiunque si sia accostato, sia pure per poco, a quelle vicende è portato necessariamente ad escluderlo.
Fu in Europa, nell'Europa cristiana e cattolica, che nacque e crebbe prima in Italia (non dimentichiamolo!), poi in Germania e in altri paesi europei che nacque quella forma di nazionalismo totalitario che assunse dall'inizio tinte razziste e antisemite.
Si trattò di un lungo processo storico che sedusse centinaia, poi migliaia e milioni di giovani che presero parte poi in prima persona ai regimi che vinsero e di consolidarono fino agli anni quaranta sopravvivendo poi in altri continenti per alcuni decenni (basta pensare al perdonismo argentino).
Liquidare dunque il caso nazista con quell'espressione usata da Benedetto XVI significa darne una visione inadeguata e riduttiva come hanno subito detto le comunità ebraiche in tutto il mondo.
Del resto la Chiesa cattolica non ha ancora messo a disposizione degli studiosi le carte che riguardavano il suo ruolo in quegli anni. Fu Giovanni Paolo II ad estendere la possibilità di consultazione degli archivi fino al 1939, al limitare della tragedia. Quando Ratzinger venne eletto,le comunità ebraiche chiedero che il termine fosse portato al 1945. Ma finora non è arrivata nessuna risposta.
C'è forse un legame tra l'una e l'altra cosa, tra il passo indietro compiuto dal pontefice proprio ad Auschwitz e l'impossibilità per gli storici di andare avanti nelle ricerche?
da l'Unita del 30/05/2006
martedì 30 maggio 2006
La Chiesa e il Male
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