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«ALL’INTEGRALISMO NON SI RISPONDE COL LAICISMO»
Anna Serafini, senatrice Ds, parla dei temi etici e del PD: «Su Welby troppa ideologia. Attenti a non fare dei Pacs una battaglia per gli omosessuali»
«Vedo un rischio enorme, che all’integralismo si risponda con il laicismo». Così Anna Serafini, senatrice dei Ds, già protagonista di uno dei passaggi parlamentari più agitati in tema di materie «eticamente sensibili», cioè il voto della commissione Sanità che smentiva il ministro Livia Turco sulle quantità minime di droga leggera, commenta un frangente politico sempre più caratterizzato da scontri su materie al confine tra politica, etica e religione: «Abbiamo bisogno - dice Serafini - di una concezione della laicità che permetta di tutelare i diritti individuali senza lacerare la società. Su coppie di fatto, procreazione assistita, testamento biologico, la nostra guida è trovare il terreno più avanzato di mediazione, eliminando qualsiasi tentazione di procedere a colpi di maggioranza. Servono compromessi: non ho paura di questa parola».
E, a proposito di compromessi, Serafini risponde a una serie di obiezioni piovute sulla sinistra, accusata da un parte della sua stessa base di non svolgere la sua missione storica a difesa delle libertà civili, dalle dorghe fino al caso Welby, passando per i contestatissimi Pacs. Welby, per esempio. C’è chi pensa che i radicali siano stati lasciati troppo soli nella loro battaglia. Serafini non raccoglie l’obiezione: «Le parole di Welby andavano ascoltate, ma non mi piace il risvolto politico e ideologico che ha preso questa vicenda personale. Quello che prevale in me è un sentimento di umana pietà». Una pietà che la Chiesa non ha avuto, negando a Welby i funerali, si diceva in piazza durante il rito civile delle esequie. «E’ mancata l’umana pietà», concede Serafini, prima di dirsi ottimista sull’iter della legge sul testamento biologico in dicussione in Parlamento: «Il confine tra eutanasia e accanimenti terapeutico può esser labile, ma invece è forte. Abbiamo bisogno di una legge che consenta a ciascuno di dichiarare anticipatamente la propria volontà di non essere più curato quando non sussiste alcuna possibilità di recupero».
Si parla molto di nuova «questione cattolica», ma per molti militanti questa espressione si traduce in una resa della sinistra alle regioni del moderatismo confessionale. «Questa - risponde Serafini - è un’idea sbagliatissima. Specie quando la si associa alla nascita del Partito democratico. Si tende a trascurare che se la Chiesa interviene così tanto nella sfera civile e politica è anche per i mutamenti epocali che stiamo vivendo, primo fra tutto il nuovo rapporto con l’Islam. Si dimentica anche che in Italia esiste una destra molto forte, che esercita una presa su una parte importante del cattolicesimo italiano in fatto di valori e stili di vita e non bisogna correre il rischio che questa presa si allarghi. Perché, al contrario, io credo che tra laici e cattolici del centrosinistra ci sia già un’unità di intenti molto forte, che va tradotta sul piano del metodo. In certi casi, il metodo è sostanza». Dunque, assicura Serafini, partirà il prima possibile il gruppo di lavoro parlamentare sulle materie «eticamente sensibili».
Ma, altra obiezione comune, siamo sicuri che le droghe o le coppie di fatto siano catalogabili sotto questa voce? Serafini non ha dubbi: «Non si può solo affermare la libertà di drogarsi, bisogna affrontare il tema della dipendenza e dei carichi che questa comporta sulla famiglia, la società. La non punibilità del consumo è il pilastro condiviso di tutta l’Unione, ma un conto è dire che il consumatore non va in galera, un altro è mostrare indifferenza rispetto al fatto che un giovane decida o meno di drogarsi. Su questo il personalismo cattolico è più efficace dell’indifferenza. Questi sono temi sentitissimi, e quando un tema penetra così a fondo nelle coscienze è già etico». E le coppie di fatto? L’impressione è che sui Pacs la coalizione possa restare paralizzata dai veti incrociati: «L’importante è non caricare di ideologia la richiesta contenuta nel programma elettorale. E’ dannoso e antiriformista enfatizzare la battaglia omosessuale o trasformarla nella carta d’identità della legge. E non perché le coppie omosessuali debbano restare fuori dal provvedimento, ma perché, come è bene che lo Stato riconosca dei diritti senza eccepire sui gusti o le tendenze di chi poi ne trae beneficio, allo stesso modo è bene che i benficiari non cerchino una rivalsa ideologica. Questo, per me, è un approccio riformista e liberal, tutt’altro che moderato». Aggiunge la senatrice ds: «Oggi il problema è coniugare le libertà individuali in un contesto che, coi progressi della scienza, sposta continuamente il confine di vita e morte. Scindere le prime dal secondo è un errore che porta a sconfitte come quella del referendum sulla legge 40, che andava fatto, ma che è figlio, oltre che di una brutta legge, anche di quindici anni di mancato dialogo». Infine, un’autodifesa personale: «Su queste vicende io - dice Serafini, consorte del segretario dei Ds Piero Fassino - sono stata attaccata in quanto “moglie di”, per una concezione arretrata della politica e del giornalismo. Se la penso come mio marito, ci accusano di familismo. Se la penso diversamente, invocano il familismo chiedendo a mio marito di accudirmi. Vorrei essere attaccata per gli errori che faccio in proprio, e lo stesso vale per Piero».
http://www.gaynews.it/view.php?ID=71682
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