lunedì 4 giugno 2007

Calcio gay all'attacco:"In A e B saremo in 50"

Il leader della Nazionale omo: “Hanno paura di fare coming out”


Li picchiano a Mosca, li sospettano di potenziale terrorismo in Alabama, in Italia c’è chi è sceso in piazza per impedire che si formino una famiglia. Per i gay è un momentaccio se mai ce n’è stato uno migliore, e allora qualcuno la butta sullo sport, anzi sul calcio che è il più omofobo di tutti ma il più universale: a fine settembre, a Buenos Aires, si gioca il campionato del mondo per squadre omosessuali e ci sarà per la prima volta una formazione italiana con la maglia azzurra, la bandiera, forse l’inno e certamente uno sponsor, una discoteca dell’Arcigay nella zona di Lambrate, a Milano, che si chiama Binario Uno e investe un po’ di soldi per fare contenti gli amici più che per un ritorno pubblicitario, tanto chi la deve conoscere la conosce già.

Spulciando sul sito dell’Iglfa, l’associazione mondiale di calcio per gay e lesbiche, si scopre una dimensione internazionale impensabile. C’è una squadra a Pechino, una a Sydney, giocano in tutta l’Europa occidentale e naturalmente nel Nord America. Hanno sigle e loghi fantasiosi: i «chiodi» di San Francisco, gli «uragani» della Florida, i «leoni» a Londra, i «ragazzi di strada» a Monaco, l’«arcobaleno» a Parigi, la «Tu Mamà» in America Latina e gli immancabili e poco oxfordiani «Fuckers». In Italia il fenomeno stenta a crescere. «Siamo al punto in cui era la Germania venticinque anni fa, e non mi riferisco soltanto al pallone - dice Klaus Heusslein, l’anima della Nuova Kaos, il club di Milano che fa da ossatura alla Nazionale che andrà in Argentina -. Però in Germania si è lottato per farsi accettare e lo si deve fare anche qui. Non c’è niente dello spirito e del modello del Gay pride in quello che facciamo: né parrucche né eccentricità, meno che mai “drag queens”. Si va in campo come chiunque altro e i gusti che si hanno a letto sono un fatto personale. La gente però ha paura di esporsi».

I calciatori omosessuali dichiarati sono pochi. C’è una squadra a Roma, una a Genova. Milano è stata la culla: anche lì tuttavia stavano per lasciar perdere dopo i primi entusiasmi, poi nel 2002 arrivò Klaus dalla Germania e il progetto è ripartito. Tossicchiando va avanti, con le difficoltà che si possono immaginare. «Uno degli handicap - dice Heusslein che è anche vicepresidente del comitato organizzatore del Mondiale - è che non siamo abbastanza per formare un nostro campionato. E la qualità non è straordinaria, più o meno valiamo una squadra di seconda categoria. Sarebbe diverso se ci fosse il coraggio di fare outing (intende coming out, ndr): non ho un conteggio preciso ma se valgono nello sport le proporzioni che ci sono nella società, tra i professionisti della A e della B almeno cinquanta sono gay e in tutto il calcio italiano sono alcune centinaia. Il problema è che non lo dicono: il calcio respinge gli omosessuali, basta pensare a quello che ha detto Deschamps sulle maglie rosa quando la Juve è stata promossa, e gli omosessuali respingono culturalmente il calcio. Preferiscono praticare il nuoto, il tennis e la pallavolo. Così noi siamo sempre fuori posto per gli uni e per gli altri».

Vita dura. Spesso sul filo tra il dire e il non dire la diversità. La Nuova Kaos è una squadra come qualsiasi altra, partecipa al campionato Uisp della zona di Milano. All’inizio pochissimi ne conoscevano la particolarità. La voce però è girata velocemente. «Il primo anno arrivammo secondi - racconta Klaus -, adesso si sta intorno al settimo posto perché contro di noi c’è più impegno, i maschioni non ci stanno a perdere. Come si comporta il pubblico? Ha una certa curiosità nel vedere cosa combiniamo o magari immagina che andiamo in campo con i tacchi a spillo: c’è un po’ di goliardia, le battute volano più basse e grevi ma non è mai successo niente di speciale. Negli stadi si è visto di molto peggio». Si scopre che in fondo c’è in giro ancora un po’ di intelligenza, anche se i pregiudizi resistono. «Una volta organizzammo un’amichevole contro la squadra di Sky, c’era Pasquale Bruno, l’ex giocatore del Torino e della Juve, uno che ha sempre detto peste e corna sul calcio femminile, immagini cosa poteva pensare di noi. Nessuno lo aveva avvertito, in campo non si accorse di nulla, perdemmo soltanto per 6-5 e ci fece i complimenti. Quando gli raccontarono la verità non ci credeva. In realtà chi sa distinguere il calcio dal sesso non ha difficoltà ad accettarci. Abbiamo alcuni etero in squadra. Il primo è stato un quarantenne sposato e con figli: aveva voglia di giocare al pallone due o tre volte la settimana, i primi tempi eravamo indecisi se spiegargli come stavano le cose. Del resto in campo non c’era differenza nei comportamenti né gli saltavamo addosso sotto la doccia, come nelle barzellette. Un giorno però tra noi partirono alcune battute inequivocabili e ci paralizzammo aspettando di vedere la sua reazione. Ci guardò e ci disse: ma pensavate che fossi così scemo da non averlo capito già la prima volta?».

La preparazione alla Coppa del Mondo che comincia il 23 settembre sarà artigianale. Nessun ritiro collegiale, le convocazioni verranno falcidiate dagli impegni di lavoro perché quasi tutti i giocatori hanno le ferie fissate in agosto. Insomma sarà una Nazionale fatta con chi può andarci e ci sarà uno spazio anche per gli stranieri e gli oriundi, un italiano che vive a San Francisco e il solito Klaus, che è tedesco, «ma da 5 anni - dice - vivo in Italia e se un argentino come Camoranesi ha vinto il Mondiale con la maglia azzurra non vedo perché non dovrei provarci io». Antonio, l’allenatore, resterà a casa. Anarchia tattica e molto fai-da-te anche perché i giocatori arriveranno in Argentina solo un paio di giorni prima dell’inizio, tra l’adattamento al fuso e tutto il resto. Insomma le chances di vincere sono poche, praticamente nessuna: il divario dalle squadre di Londra e di Parigi già campioni del mondo è netto, gli americani hanno una vasta scelta. L’obiettivo è fare una buona figura e divertirsi perché «il mondiale è soprattutto un grande happening, un’occasione di incontro. Di giorno si gioca, la sera si fanno feste, si creano amicizie e talvolta nascono rapporti seri. I calciatori di solito hanno un bel fisico. Sono attraenti e sexy». Anche attorno a loro ronzano evidentemente le «veline». Pardon, i velini. È solo una questione di gusti.

http://www.gaynews.it/view.php?ID=74130

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