venerdì 12 novembre 2004

Il telegiornale normalizzato

di CURZIO MALTESE

ROMA - È arrivato per primo anche l'ultima sera. Stavolta la notizia era lui, Enrico Mentana cacciato dal Tg5, il notiziario che aveva fondato e diretto per tredici anni. Una brutta notizia per l'informazione italiana, già molto malconcia. Un segnale di disperazione politica da parte di Berlusconi.

Stavolta non ci sono state finzioni. Il tono del messaggio di addio di Mentana era inequivocabile: "Venerdì i vertici dell'azienda mi hanno convocato per comunicarmi la decisione di cambiare direttore". È stato epurato per far posto a Carlo Rossella, reduce dalla berlusconizzazione forzata di Panorama.
Berlusconi voleva "levarsi dai piedi" il fondatore del Tg5 da almeno un anno.

Non ha mai mantenuto una promessa ma le minacce sì, tutte, dai tempi di Montanelli. Aspettava soltanto "un'occasione decente" che poi non è arrivata.
In fondo ormai l'indecenza è la normalità e "certe cose non si fanno sotto elezioni". Per la primavera del 2006 gli elettori avranno dimenticato la cacciata di Mentana come oggi non ricordano quasi più quelle di Biagi e Santoro.

Le epurazioni cominciano dai nemici e finiscono con gli amici, partono dai troppo liberi e si chiudono con i non abbastanza servi. Enrico Mentana non era abbastanza servo per i gusti del padrone, assai volgari in materia ma molto assecondati dalla corte giornalistica.
Il Tg5 ha sempre difeso gli interessi fondamentali del Cavaliere: la guerra alla giustizia, la difesa di Previti e Dell'Utri, il conflitto d'interessi.
Ma l'ha sempre fatto nel quadro di una decenza personale e professionale e di una grande tecnica televisiva. In Mentana alla fine è forte l'istinto del cronista.
Non ha quasi mai cancellato le notizie sgradite a Berlusconi, come fanno molti suoi zelanti colleghi, al massimo le ha un po' nascoste. L'effetto paradossale è che negli ultimi tempi una quota di pubblico di sinistra preferiva il telegiornale di Canale 5 a quella specie di filmato Luce del berlusconismo che è diventato il Tg1 di Mimun. Per anni la quantità minima e a uso personale di decenza esibita dal tg di Mentana è stata la foglia di fico del conflitto d'interessi. In qualche modo il Tg5 ha incarnato, con tutte le sue ambiguità, la finzione liberale del berlusconismo nascente, l'illusione che portasse "più libertà di scelta".

Oltre a costituire di fatto l'unica identità forte di Canale 5, rete ammiraglia del gruppo e quindi l'ideologia incarnata del gruppo. Ora s'è deciso che persino la foglia di fico non era più sopportabile per fronteggiare le urgenze pre-elettorali del Cavaliere. Nel tardo berlusconismo fatto regime perfino la parvenza del pluralismo, non parliamo della sostanza, è diventata intollerabile. Tanto più con i sondaggi in caduta libera e le promesse di tagli fiscali che slittano all'anno prossimo, per il quarto anno consecutivo. Rossella ha il compito di trasformare il Tg5 in un puro strumento di lotta e propaganda politica, come fece Vittorio Feltri quando accettò di scippare a Montannelli, suo "caro maestro", il giornale che aveva fondato. Il nuovo direttore è in grado di compiere la missione.

Si calcola, forse a torto, che gli spettatori rimarranno perché non hanno scelta. Se in Italia esistesse un libero mercato dell'informazione, domani Mentana verrebbe strappato a suon di milioni da un'altra rete televisiva e probabilmente replicherebbe altrove il successo del Tg5. Ma in Italia chi osa fare uno sgarbo al padrone unico?
La Rai è più governativa di Mediaset, la Sette è una specie di premio di consolazione per i cortigiani non adatti alla prima serata.
Sky News, che pure è proprietà dell'amico Murdoch, è in questi giorni oggetto di un pestaggio da parte della stampa berlusconiana e finirà per inchinarsi all'avvertimento dei bravi. Si parla già di editori spaventati e di un probabile allontanamento del direttore, accusato di essere "politicamente corretto". Non stupisce che nelle classifiche internazionali sulla libertà d'informazione l'Italia figuri nel gruppo dei Paesi africani, oltre il sessantesimo posto.

Il clamoroso licenziamento di Mentana conferma che se qualcuno in Italia sopravvaluta il peso delle televisioni non sono gli antiberlusconiani ma lo stesso Berlusconi.
È di queste ore la notizia che il premier avrebbe barattato l'ennesima e grottesca retromarcia sulle tasse con l'abrogazione della par condicio e la conferma del vertice monocolore alla Rai, vincendo i dubbi di Fini e Follini.
È convinto che gli italiani credano alla televisione più che alle loro tasche. Se il calcolo è sbagliato l'operazione Mentana si rivelerà un boomerang colossale e forse anche l'ultimo utile idiota pseudo liberale dovrà ammettere l'esistenza di un vero e proprio regime dell'informazione.
Se invece ha ragione Berlusconi, toccherà un giorno ricominciare dalle scuole dell'obbligo, una volta rimosse le macerie culturali e materiali di questa brutta avventura. In ogni caso dobbiamo prepararci ad assistere, da qui alla primavera del 2006, alle più squilibrate e irregolari campagne elettorali che si siano mai viste in una democrazia occidentale.

Tratto da La Repubblica del 12 Novembre 2004

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