mercoledì 5 ottobre 2005

Siamo fieri dei nostri figli «disordinati»

di Delia Vaccarello

 Genitori di tutto il mondo unitevi. Sapete tutti quanti sensi di colpa vi catturano quando si parla di figli. A chi di voi piacerebbe sentirsi dire che ha messo al mondo un «deviante»? Succede oggi ai papà e alle mamme dei gay. L'ideologia cattolica sostiene che gli omosessuali sono disordinati e che le loro unioni minacciano le famiglie. Ma la famiglia i gay già ce l'hanno. È quella in cui sono nati. È una famiglia «disordinata»? Com’è fatta una famiglia di «sfasciafamiglie»? I genitori degli omosex come vivono la «condanna» delle gerarchie per aver allevato siffatta prole? Si ribellano o si mortificano? Occorre prestare attenzione: poiché l'orientamento sessuale è un'acquisizione della maturità affettiva sia in versione omo che etero, potrebbe succedere a ciascuno di voi di sentirsi dire: «mamma, papà, sono gay».

«Io vengo da una famiglia di contadini, siamo 14 figli. Arrivato a 50 anni mio figlio e mia figlia hanno aperto la porta della cucina e hanno detto a me e mia moglie: "Siamo gay", avevano 16 anni lui e 14 lei. Abbiamo cominciato a chiederci dove avevamo sbagliato. È stato il latte artificiale? I giocattoli innovativi? Tutti noi cresciamo in gruppi regolati dal pensiero rigido. Presto ti chiedono: "quando ti sposi?, quando hai un figlio?” I nostri ragazzi con il loro modo di essere scuotevano l'ordine del gruppo - dice Ettore Ciano dell’Agedo, associazione di genitori e amici degli omosessuali - . Ma io sono un insegnante, e anche mia moglie. Una voce dentro di noi ci ha detto sempre che i figli sono disordinati per definizione, che i ragazzi hanno un modo di pensare unico. I genitori, però, si sentono sempre in colpa. Una colpa indotta dalla società. Ma l'amore e il rispetto per i nostri figli hanno prevalso. Mia moglie, che frequentava la Chiesa, un giorno ha detto: "Insomma, questi cristiani devono finirla di offendere". E’ stato allora che abbiamo smesso di fare la caccia al colpevole dentro noi. E abbiamo fondato a Sassari un centro Agedo. Oggi ringraziamo la realtà omosessuale perché ci ha permesso di vedere l'individuo fuori da qualsiasi logica "razzista". Non sarebbe questo il compito della Chiesa?».

Molti genitori restano avviluppati da mille domande senza una possibile risposta, Ettore Ciano e sua moglie hanno superato questa fase, hanno riunito altri genitori per contrastare quella che definiscono «una cultura plasmata per il 90 per cento dall'omofobia». Non sono i soli. Li chiamiamo innovatori del «disordine»? «Quando l'acqua è ghiacciata è priva di conoscenza, quando scorre nei fiumi è colma di vita. Mio figlio mi ha detto di essere gay scrivendomi una lettera. Diceva "amo un ragazzo". Ho pensato a una "disortografia", ho provato disagio. Finendo la lettura ho capito che non aveva sbagliato a scrivere. Parlandomi, aveva "disordinato" le mie categorie. Oggi dico: per fortuna» racconta Rita De Santis, dell'Agedo di Brescia, anche lei prof. «Sono aperta, di sinistra, conosco tanti gay, ma quando mio figlio mi ha scritto ho capito che non conoscevo nulla del suo amore. Ho avuto paura, ho sentito che la cultura, che per me è cibo vivo, non mi aveva dato la chiave immediata per capire. Mi ci sono voluti sei mesi e mi rammarico di averci messo tanto». I genitori che ricorrono all'Agedo sono disorientati. «Vengono da noi, ci dicono di aver comperato diversi testi cattolici, compreso l'ultimo, "L'abc per capire l'omosessualità" - aggiunge Ettore Ciano -, ma leggono sempre la stessa cosa: "omosessuali disordinati e da curare". Una mia collega ha portato il figlio da Milingo, dai preti di Assisi, tormentandosi. Alcuni sacerdoti dicono di mandare i figli dalle prostitute. E i genitori entrano in crisi, perdono il senso della progettualità, si sentono stigmatizzati come i loro figli. Un papà, preside, voleva dimettersi, si sentiva sbagliato. Alcuni arrivano a suicidarsi.» Che fare? «Bisogna fermare la persecuzione in atto anche dentro di noi, combattere l’idea dell’omosessualità come peccato - continua Ciano -.

Coloro che non sono capaci di farlo si trovano nella condizione di quel marito e di quella moglie che non riescono a lasciarsi e si imbrigliano in una rete di dolorosi conflitti. La realtà impone di aprire gli occhi, di capire e andare avanti; di sfuggire ai tentativi di mortificazione dei gay e dei loro genitori, e di scegliere la vita. Per fare questo ci vuole un grande accordo all'interno della coppia genitoriale. Abbiamo iniziato ad aprire la nostra casa agli amici gay dei nostri figli, abbiamo favorito l'incontro tra i loro genitori, e molti hanno capito che la loro realtà non era né straordinaria, né straordinariamente negativa. Ci siamo documentati a fondo, perché il tema dell'orientamento sessuale è poco noto, mentre i pregiudizi sono diffusissimi». Per lottare contro i tabù esterni e interiorizzati occorre l'intelligenza dei sentimenti: «Io ho paura per mio figlio - dice Rita De Santis, che ha scritto un libro sul suo rapporto con il compagno del figlio dal titolo "Il nuoro" - quando sento che in Iran due omosessuali sono stati lapidati ho paura che una parte di quelle pietre finisca addosso a mio figlio.

Provo rabbia, angoscia per la sua incolumità. Di lui sono fiera. Quando mi sono presentata con lui alle altre famiglie, nessuno ci ha ferito. Il mio orgoglio per lui non ha crepe in cui la cattiveria, come suole fare, potrebbe insinuarsi». La ricetta è variegata, molti i modi di accogliere il cosiddetto «disordine», che altro non è se non l’orientamento omosessuale non previsto. Unico è il sentimento: «La ricetta è l'amore. Al suo interno ci sono il panico, la paura di perdere, la tensione all'ascolto, al confronto. L'amore non è una panacea, anzi. È vivo, come il "disordine". Noi siamo riconoscenti ai nostri figli. Grazie a loro oggi viviamo una vita più ricca». A volte i figli aprono gli occhi ai genitori su una realtà fuori dai loro schemi mentali. Hanno iniziato da soli ad affrontare la forza di un sentimento che la società, molto spesso, ancora offende. Si ritrovano poi a «spiegare» il loro percorso ai padri e alle madri. In quei momenti il tempo sembra aver invertito le direzioni, sono i più giovani a proteggere i genitori dall’impatto con un’affettività che fa paura non in sè, ma solo perché è demonizzata.

Hanno già avvertito da soli, avendo come bagaglio i loro pochi anni, l’urto che può provocare un sentire disapprovato socialmente, ma che si presenta come una radice emotiva inestirpabile. In questi casi, i giovani sono «nani» che portano sulle spalle pesi grandi come giganti. Molti di loro ce la fanno. Certo, sono «devianti». Come lo sono quanti tra noi sono piccoli grandi eroi.

[i]delia.vaccarello@tiscali.it

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