La madre: "Perché lo hanno trattato così?"
Il ragazzo dallo scorso anno era tormentato dai compagni di scuola
La preside: "Ci eravamo accorti del disagio ed eravamo intervenuti subito"
TORINO - "Perché me lo hanno trattato così? Non aveva fatto niente di male, era un essere umano come tutti loro". La signora Priscilla non riesce a darsi pace per la morte del figlio sedicenne, che martedì scorso si è tolto la vita gettandosi dalla finestra della sua abitazione, al quarto piano di un'abitazione di Torino. Piange spiegando che suo figlio M. non sopportava più di sentirsi emarginato e insultato dai compagni di scuola che continuavano a ripetergli "sei gay, ti piacciono i ragazzi". Ne aveva anche parlato con la preside, ma non era cambiato nulla.
M.P., 16 anni, frequentava l'istituto tecnico Sommeiller, considerato uno dei più prestigiosi di Torino. Dallo scorso anno scolastico era stato preso di mira dagli altri ragazzi che per deriderlo lo apostrofavano con il nome di Jonathan, come uno dei personaggi del Grande Fratello televisivo indicato come omosessuale. E così martedì scorso M.P. ha deciso di farla finita. Prima di gettarsi nel vuoto ha lasciato due biglietti, ora in mano ai carabinieri, dai quali si è appreso che in uno chiede scusa ai genitori, nell'altro traccia le motivazioni del suo gesto. "A scuola - è il senso del messaggio - non mi accettano perché mi vedono come uno diverso da loro. Non mi sento integrato".
"Lunedì - racconta la madre - è tornato a casa dicendo di sentirsi molto stanco e molto triste. Voleva andare subito a dormire. La mattina dopo sarebbe dovuto andare a lezione, ma mi aveva chiesto di stare a casa per studiare e riposarsi. Sono uscita e dopo un po' mi ha chiamato mio figlio maggiore, raccontandomi quanto era successo".
Priscilla, di origine filippina, ha sposato nel 1989 un agricoltore di Buttigliera d'Asti, dal quale ha avuto tre bambini. M. era il secondo dei tre figli della coppia, separata dal '99. "I miei figli sono bravi, educati. Gli ho sempre raccomandato di studiare, e in effetti a scuola vanno benissimo". Ma all'istituto tecnico Sommeiller M. aveva dei problemi, anche se era fra i più bravi della classe. "Io lo sapevo - dice Priscilla - anche perché all'inizio del precedente anno scolastico si era confidato con me. Diceva che lo prendevano in giro, che gli dicevano 'sei un gay', 'ti piacciono i maschi'. Ne avevamo anche parlato con la preside".
"All'inizio non voleva più andare - prosegue la donna, - ha continuato a seguire le lezioni e i compagni lo hanno isolato dal gruppo, come se non fosse uno di loro, come se fosse diverso. Io ero preoccupata. Gli chiesi se voleva andare da uno psicologo, mi rispose di no".
La preside dell'istituto Sommeiller, Caterina Cogno, non esita a definirlo "il migliore della classe". "Aveva manifestato del disagio - spiega - all'inizio del precedente anno scolastico, nel 2005. Vedendolo in lacrime, un insegnante lo avvicinò. E dopo qualche titubanza disse che gli altri lo prendevano perché studiava troppo e aveva dei bei voti. Lo chiamavano Jonathan. Intervenimmo subito, sgridammo i suoi compagni, e da allora non è più stato notato nulla di insolito. Era bravo, garbato, sensibile. Per noi è stato un fulmine a ciel sereno".
L'accusa di essere gay è frequente nella scuola, afferma l'Arcigay, che nei mesi scorsi ha svolto un'inchiesta nelle scuole, finanziata dall'Ue, condotta su circa 500 studenti e insegnanti da cui risulta che più della metà dei ragazzi e delle ragazze (53 per cento) delle medie superiori sente pronunciare spesso o continuamente parole offensive come "finocchio" per indicare maschi omosessuali o percepiti come tali.
Secondo l'indagine, un altro 28 per cento sente usare qualche volta questi insulti, il 14,6 per cento raramente, e il 3,8 mai. Ma non solo. A più del 10 per cento degli studenti capita di vedere spesso o continuamente un ragazzo deriso, offeso o aggredito, a scuola, perché è o sembra omosessuale, e raramente qualcuno interviene a difesa della vittima. Non lo fa mai nessuno secondo il 19,2 per cento, raramente per il 29,3 per cento, non sa il 22,7 per cento. I professori inoltre non se ne accorgono visto che alla domanda sul verificarsi di questi episodi nessuno risponde positivamente, mentre l'83,6 per cento dice di non aver mai assistito a episodi del genere.
"L'Arcigay esprime solidarietà alla mamma di Marco, la cui vicenda è solo la punta di un iceberg, per la sua perdita e per il coraggio di aver denunciato le violenze che suo figlio ha subito. Un atteggiamento nella scuola italiana aggravato dagli "insulti di politici e prelati contro i gay".
(5 aprile 2007)
http://tinyurl.com/yuy9ud
Il ragazzo dallo scorso anno era tormentato dai compagni di scuola
La preside: "Ci eravamo accorti del disagio ed eravamo intervenuti subito"
TORINO - "Perché me lo hanno trattato così? Non aveva fatto niente di male, era un essere umano come tutti loro". La signora Priscilla non riesce a darsi pace per la morte del figlio sedicenne, che martedì scorso si è tolto la vita gettandosi dalla finestra della sua abitazione, al quarto piano di un'abitazione di Torino. Piange spiegando che suo figlio M. non sopportava più di sentirsi emarginato e insultato dai compagni di scuola che continuavano a ripetergli "sei gay, ti piacciono i ragazzi". Ne aveva anche parlato con la preside, ma non era cambiato nulla.
M.P., 16 anni, frequentava l'istituto tecnico Sommeiller, considerato uno dei più prestigiosi di Torino. Dallo scorso anno scolastico era stato preso di mira dagli altri ragazzi che per deriderlo lo apostrofavano con il nome di Jonathan, come uno dei personaggi del Grande Fratello televisivo indicato come omosessuale. E così martedì scorso M.P. ha deciso di farla finita. Prima di gettarsi nel vuoto ha lasciato due biglietti, ora in mano ai carabinieri, dai quali si è appreso che in uno chiede scusa ai genitori, nell'altro traccia le motivazioni del suo gesto. "A scuola - è il senso del messaggio - non mi accettano perché mi vedono come uno diverso da loro. Non mi sento integrato".
"Lunedì - racconta la madre - è tornato a casa dicendo di sentirsi molto stanco e molto triste. Voleva andare subito a dormire. La mattina dopo sarebbe dovuto andare a lezione, ma mi aveva chiesto di stare a casa per studiare e riposarsi. Sono uscita e dopo un po' mi ha chiamato mio figlio maggiore, raccontandomi quanto era successo".
Priscilla, di origine filippina, ha sposato nel 1989 un agricoltore di Buttigliera d'Asti, dal quale ha avuto tre bambini. M. era il secondo dei tre figli della coppia, separata dal '99. "I miei figli sono bravi, educati. Gli ho sempre raccomandato di studiare, e in effetti a scuola vanno benissimo". Ma all'istituto tecnico Sommeiller M. aveva dei problemi, anche se era fra i più bravi della classe. "Io lo sapevo - dice Priscilla - anche perché all'inizio del precedente anno scolastico si era confidato con me. Diceva che lo prendevano in giro, che gli dicevano 'sei un gay', 'ti piacciono i maschi'. Ne avevamo anche parlato con la preside".
"All'inizio non voleva più andare - prosegue la donna, - ha continuato a seguire le lezioni e i compagni lo hanno isolato dal gruppo, come se non fosse uno di loro, come se fosse diverso. Io ero preoccupata. Gli chiesi se voleva andare da uno psicologo, mi rispose di no".
La preside dell'istituto Sommeiller, Caterina Cogno, non esita a definirlo "il migliore della classe". "Aveva manifestato del disagio - spiega - all'inizio del precedente anno scolastico, nel 2005. Vedendolo in lacrime, un insegnante lo avvicinò. E dopo qualche titubanza disse che gli altri lo prendevano perché studiava troppo e aveva dei bei voti. Lo chiamavano Jonathan. Intervenimmo subito, sgridammo i suoi compagni, e da allora non è più stato notato nulla di insolito. Era bravo, garbato, sensibile. Per noi è stato un fulmine a ciel sereno".
L'accusa di essere gay è frequente nella scuola, afferma l'Arcigay, che nei mesi scorsi ha svolto un'inchiesta nelle scuole, finanziata dall'Ue, condotta su circa 500 studenti e insegnanti da cui risulta che più della metà dei ragazzi e delle ragazze (53 per cento) delle medie superiori sente pronunciare spesso o continuamente parole offensive come "finocchio" per indicare maschi omosessuali o percepiti come tali.
Secondo l'indagine, un altro 28 per cento sente usare qualche volta questi insulti, il 14,6 per cento raramente, e il 3,8 mai. Ma non solo. A più del 10 per cento degli studenti capita di vedere spesso o continuamente un ragazzo deriso, offeso o aggredito, a scuola, perché è o sembra omosessuale, e raramente qualcuno interviene a difesa della vittima. Non lo fa mai nessuno secondo il 19,2 per cento, raramente per il 29,3 per cento, non sa il 22,7 per cento. I professori inoltre non se ne accorgono visto che alla domanda sul verificarsi di questi episodi nessuno risponde positivamente, mentre l'83,6 per cento dice di non aver mai assistito a episodi del genere.
"L'Arcigay esprime solidarietà alla mamma di Marco, la cui vicenda è solo la punta di un iceberg, per la sua perdita e per il coraggio di aver denunciato le violenze che suo figlio ha subito. Un atteggiamento nella scuola italiana aggravato dagli "insulti di politici e prelati contro i gay".
(5 aprile 2007)
http://tinyurl.com/yuy9ud
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