
Ma la Suprema Corte, ribadendo un orientamento più volte manifestato negli ultimi anni, ha ribadito che la convivenza crea legami di reciproca assistenza e protezione esattamente identici a quelli della famiglia; pertanto violarli comporta la giusta punizione della legge.
I giudici hanno precisato ”ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia non assume alcun rilievo la circostanza che l’azione delittuosa sia commessa ai danni di persona convivente more uxorio”, in quanto il richiamo alla famiglia contenuto nell’art. 572 c.p. ”deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo questa nozione anche la famiglia di fatto”.
Quel che è importante è ”un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato fra due persone con legami di reciproca assistenza e protezione”.
La sentenza è chiara: ogni consorzio di persone tra le quali sono sorti rapporti di assistenza e solidarietà. E adesso chi glielo va a dire a Papa Benedetto XVI, alle gerarchie ecclesiastiche al "ministro" Carfagna e a tutti quei politici che nelle loro dichiarazioni considerano le convivenze qualcosa di diverso dalla famiglia?
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